La Chiesa cattolica usufruisce di forti agevolazioni fiscali, motivate
soprattutto dalle finalità assistenziali, sanitarie o educative di
alcune sue attività. Ad esempio l’ IRES, l’imposta sul reddito delle
società introdotta nel 2003 al posto di un’ imposta precedente, è
ridotta del 50 per cento per tutti gli enti che hanno un fine di
assistenza, beneficenza e istruzione (non solo quelli riconducibili alla
Chiesa, dunque). La Chiesa cattolica italiana non ha mai pagato l’ICI
(Imposta Comunale sugli Immobili) sui beni immobiliari che utilizzava
per fini non commerciali, come previsto già dal decreto legislativo che
introdusse la tassa nel 1992 e con un risparmio per la Chiesa che venne
stimato dall’associazione dei comuni italiani in diverse centinaia di
milioni di euro l’anno. Quanto agli immobili utilizzati per attività
commerciali, la questione è stata oggetto di diversi pronunciamenti
giuridici e di modifiche legislative nel corso degli anni: a partire dal
2005, la legge ha previsto l’esenzione tout court per tutti gli
immobili. Questa decisione, presa dal governo Berlusconi a pochi mesi
dallo scioglimento delle camere e all’inizio della campagna elettorale,
fece molto discutere.
Nel 2007 il governo Prodi limò la normativa,
prevedendo che l’esenzione dell’ICI si potesse applicare solo agli
immobili dalle finalità “non esclusivamente commerciali”. Quell’avverbio
– “esclusivamente” – ha permesso alla Chiesa di usufruire
dell’esenzione anche per strutture turistiche, alberghi, ospedali,
centri vacanze, negozi: è sufficiente la presenza di una cappella
all’interno della struttura. Il risparmio annuo per la Chiesa – e la
perdita netta, per il fisco italiano – si avvicina ai due miliardi di
euro. La legge in questione è da tempo oggetto di indagini da parte
dell’Unione Europea.
Ci sono inoltre diverse altre agevolazioni fiscali di minor rilievo. Le
merci dirette dall’estero alla Città del Vaticano e a tutti gli uffici
vaticani del territorio italiano sono esenti da imposte doganali e
daziarie. I lavoratori italiani che lavorano in società con sede in
Vaticano, anche se la loro sede di lavoro è in territorio italiano, non
pagano l’IRPEF (la tassa sul reddito delle persone fisiche).
L’otto per mille e gli altri finanziamenti alla Chiesa cattolica
Oltre alle esenzioni fiscali che abbiamo elencato, lo Stato italiano dà
direttamente o indirettamente molti fondi alla Chiesa cattolica per le
sue attività religiose, caritative e educative.
Il principale strumento è quello dell’otto per mille: lo Stato italiano
decise, con la legge 222 del 1985, di destinare l’otto per mille del
gettito raccolto tramite l’IRPEF “in parte, a scopi di interesse sociale
o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a
scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica” a
partire dall’anno fiscale 1990. Negli anni successivi, altre
confessioni religiose hanno firmato intese con lo Stato italiano, e oggi
tutti i singoli cittadini (non quindi enti o aziende) che presentano la
dichiarazione dei redditi possono scegliere di esprimersi sulla
destinazione dell’otto per mille dell’IRPEF scegliendo tra sette
opzioni: lo Stato italiano, la Chiesa cattolica, l’Unione delle Chiese
cristiane avventiste del Settimo giorno, le Assemblee di Dio in Italia,
l’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, la Chiesa Evangelica Luterana
in Italia oppure l’Unione Comunità Ebraiche Italiane.
Circa il 40 per cento dei cittadini decide a chi destinare l’otto per
mille, e tra questi più dell’80 per cento sceglie la Chiesa cattolica.
Chi dice esplicitamente che intende destinare l’otto per mille alla
Chiesa cattolica è insomma circa un terzo dei contribuenti. C’è un però:
stando alla legge, non è il singolo contribuente a decidere a chi
destinare la sua quota di IRPEF ma è lo Stato che consulta i cittadini –
facendo quindi una sorta di “sondaggio” – per decidere a chi dare
l’otto per mille del gettito dell’IRPEF. In questo modo alla Chiesa
cattolica va l’80 per cento di tutto l’otto per mille, non solo di
quelli che l’hanno dichiarato esplicitamente: una cifra che si aggira
intorno al miliardo di euro l’anno. Come dichiara la stessa Chiesa
cattolica, più di un terzo della cifra viene utilizzato per pagare gli
“stipendi” dei sacerdoti, mentre agli “interventi caritativi” va circa
un quarto del totale. Le modalità di destinazione dell’otto per mille e
il suo impiego da parte della Chiesa sono stati spesso oggetto di
discussione e polemiche.
Altri fondi che lo Stato versa a vario titolo alla Chiesa cattolica o
per finanziare attività confessionali cattoliche sono: i
sovvenzionamenti statali alle scuole private confessionali; gli stipendi
degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche; altre
agevolazioni, una delle più curiose delle quali è forse la fornitura
idrica gratuita alla Città del Vaticano, prevista dall’articolo 6 del
Trattato tra il Vaticano e il Regno d’Italia del 1929 (accordo non
toccato dalla revisione del Concordato del 1985).
Fonte: http://gek60.altervista.org/2011/11/perche-la-chiesa-cattolica-non-contribuisce-come-tutti-a-far-fronte-alla-crisi/
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