Che succede se le agenzie di rating bocciano l’Italia? Alla domanda risponde oggi Stefania Tamburello sul Corriere della Sera, che elenca le conseguenze del downgrade su prodotti finanziari e obbligazioni.
Il primo problema si presenterà nelle aste dei Bot:
Il primo problema si presenterà nelle aste dei Bot:
L’Italia quest’anno dovrà collocare, fra nuove emissioni e rinnovi, titoli per circa 450 miliardi di euro facendo a gomitate per trovare spazio con gli altri Stati e con le banche. Le prime aste di gennaio, che si sono svolte giovedì e venerdì, sono state positive perché i rendimenti dei Bot annuali e dei Btp triennali offerti sono calati sensibilmente rispetto alle punte toccate in novembre e dicembre. Ma riusciranno a riscuotere lo stesso successo le aste di finemese? Già venerdì al collocamento dei Btp triennali (pure andato bene anche se non come i Bot annuali del giorno prima) sonomancati gli investitori esteri. Il pericolo che non ritornino a comprare si è fatto più concreto col rating sceso sotto la A. Senza contare che per statuto, i grandi fondi pensione, o fondi comuni o assicurazioni internazionali non possono comprare titoli con un voto B ma anzi, se non lo hanno già fatto, dovranno vendere quelli che hanno in portafoglio. Da qui anche l’attesa e i timori per l’andamento del mercato secondario che fornisce il termometro dei costi del nostro alto debito: venerdì gli investitori non sembra siano rimasti troppo colpiti dall’iniziativa di S&P, visto che lo spread dei decennali è rimasto sotto i 500 punti base e il rendimento sotto il 7% ma bisogna vedere se il processo di allentamento delle tensioni avviato proprio qualche giorno fa potrà continuare.
Sarà, di conseguenza, più costoso finanziare il debito pubblico:
Il problema non è il piano di riequilibrio di bilancio che il governo presieduto daMario Monti ha indirizzato verso gli obiettivi concordati in Europa con la manovra di rigore appena varata. Ma i costi del finanziamento del fabbisogno sui mercati e gli oneri della gestione del debito pubblico che potrebbero lievitare facendo sballare le cifre acquisite. Impossibile per ora azzardare calcoli visto che dipenderà dai mercati e dal risultato delle prossime aste. Si può però dire qualcosa su quanto finora è costata la turbolenza dei mesi scorsi coi nuovi livelli di prezzi e rendimenti che si sono realizzati. Nelmese di gennaio per esempio gli esperti stimano un maggiore onere per interessi per circa 3 miliardi di euro, che sarebbe solo in parte compensato da tagli di spesa e dall’aumento di gettito fiscale: il fabbisogno risulterebbe infatti pari a circa 3,5 miliardi di euro, 1,1 in più del gennaio del 2011. La scelta del Tesoro di ampliare l’offerta di titoli a breve scadenza rispetto a quelli di media e lunga durata per approfittare dei rendimenti più bassi della prima parte della curva dei titoli risponde proprio all’obiettivo di limitare i danni, in attesa del ritorno della tranquillità suimercati. L’intervento di S&P complica le cose anche se una buona notizia sul fronte dell’accordo europeo sul fiscal compact potrebbe essere un segnale di buon auspicio per le aste di fine gennaio e di febbraio.
Il credito alle imprese sarà più difficile:
Le banche lo sanno, dopo lo Stato tocca a loro. Dopo il rating al debito sovrano S&P rivedrà anche il voto dei singoli istituti di credito. Così come faranno, se decideranno di muoversi, anche le altre agenzie di rating. Per il sistema del credito gli effetti negativi del declassamento potrebbero concretizzarsi nell’ulteriore aumento dei costi della raccolta cioè dei finanziamenti sul mercato, con la possibilità di un rincaro a catena di quelli per la clientela. Su questo fronte però i prestiti illimitati da parte della Bce risolvono le maggiori preoccupazioni. Più insidiosi sarebbero gli effetti se a Standard e Poor’s si affiancasse per esempio il giudizio negativo di Moody’s, perché quando esistono due rating dello stesso livello scattano nuovi parametri patrimoniali per alcune attività come il project finance o più in generale per i prestiti sull’interbancario. Il rating cioè diventerebbe significativo per l’operatività della banca e quindi, nel caso di un doppio declassamento sotto la A, particolarmente negativo. Così le banche italiane sono preoccupate e l’Abi ha definito la decisione di S&P «ingiustificata, incomprensibile e irresponsabile» e ha auspicato «che sia completata ed approvata la disciplina europea sulle agenzie di rating e che Bce e Autorità di vigilanza riconsiderino da subito l’utilizzo dei rating esterni nelle loro procedure e nei modelli di valutazione».
Infine, l’euro debole e i suoi effetti:
Le imprese guardano all’azione del governo, ma anche e soprattutto a quella delle banche e alle condizioni che applicano sui prestiti. Le maggiori a partecipazione pubblica risentiranno al pari degli enti locali, del downgrading deciso per il debito sovrano perché anche a esse S&P darà il voto. E quindi potrebbero avere più problemi a ottenere finanziamenti sul mercato e a rinnovare nel caso le proprie obbligazioni. Meno timori ci sono per le quotazioni di Borsa. Venerdì l’arrivo del declassamento dell’Italia non ha preoccupato troppo i trader e soprattutto non ha provocato movimenti bruschi. È possibile che Piazza Affari ignori le decisioni di S&P così come ha fatto qualche giorno fa rispetto all’annuncio di un imminente abbassamento di rating da parte di Fitch che potrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni. C’è da dire che le imprese, soprattutto quelle che esportano, sono tra i pochi beneficiari della crisi. Perché possono approfittare dell’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro e alle altre valute. Ma si tratta di un vantaggio che di per sé ha il fiato corto visto che il deprezzamento della moneta unica in questa fase è il sintomo delle difficoltà dell’Europa a difendere la sua costruzione dal contagio dei crediti sovrani. E a riprendere la strada della crescita e dell’aumento dell’occupazione sventando il pericolo di una recessione generale.
Fonte: Giornalettismo.com
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