venerdì 13 gennaio 2012

Io mi chiamo Giovanni Tizian, e faccio il giornalista.



Fare il giornalista dovrebbe eserre in teoria il lavoro più libero del mondo. Riportare notizie senza un padrone d'idea, porta alla luce la verità, informare e condividere conoscenze. Quando si apprende che un giornalista è obbligato, per il suo lavoro, a vivere sotto scorta, si rimane sempre tristi ed increduli. Alla lista dei giornalisti costretti a vivere con il "peso" di una scorta nel nostro paese si aggiunge il nome di Giovanni Tizian, giornalista freelance e una delle firme di punta di Narcomafie.

La carriera di Giovanni non nasce tanto per amore del mestierie in sè e per sè ma nasce per dare sollievo ad un dolore che lo ha segnato per tutta la vita. Aveva solo sette anni quando la 'ndrangheta gli portò via il padre Giuseppe, funzionario di banca. Giuseppe Tizian venne ucciso a colpi di lupara, a Locri la sera del 23 ottobre 1989. Faceva bene il suo lavoro e opporsi a manovre bancarie dettate da parte dei clan gli costò caro. 

Giovanni Tizian ha firmato in questi anni molte inchieste dettagliatissime che l'hanno costretto a pagare il conto per quello che in un paese normale dovrebbe essere la semplice normalità. 

Denunciare fenomeni criminali nell'edilizia, nel mercato dei trasporti, nell'agroalimentare costa caro in questo Paese.

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