domenica 29 gennaio 2012

Oscar Luigi Scalfaro: ecco cosa non dicono


In Italia c'è sempre la tendenza a santificare ad ogni costo chi muore. E' accaduto anche stavolta. A lasciarci è stato Oscar Luigi Scalfaro, nono Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999. Presidente passato alla storia anche per il suo "Non ci sto", pronunciato a resti unificate nel novembre del 1993 per difendersi dalle accuse di aver gestito fondi neri ad uso personale nel periodo in cui era stato ministro dell'Interno.


"Esempio di integrità", riprendendo le parole del Presidente Napolitano, ma c'è qualcosa che non vi dicono.

Oscar Luigi Scalfaro è stato magistrato. Sia nel periodo fascista, su giuramento al Duce e al fascismo, e sia dopo la Liberazione, dopo aver combattuto da partigiano contro i nazifascisti. Scalfaro, dopo la Liberazione fu chiamato a giudicare sei fascisti "collaborazionisti", condannati a morte dalla Corte straordinaria di Assise di Novara e lo stesso Scalfaro partecipò agli interrogatori. Tra questi c'era il brigadiere Domenico Ricci, vicino di casa di Scalfaro. Nel 2006 viene fuori a gli occhi della cronaca la vicenda e Scalfaro non può non ammettere di aver contribuito alla condanna a morte di Ricci e degli altri cinque imputati. 

"Il brigadiere Ricci insieme al Missiato costituì l' anima della Squadraccia, della quale, poi, pare abbia assunto il comando ufficiale allo scioglimento di essa". Una incertezza sulla coscienza di Scalfaro.

La sentenza scandalosa - Quando nel 1996 il Giornale pubblicò una foto di Scalfaro del 23 settembre 1945, sul luogo dell'esecuzione di Ricci e degli altri 5 presunti fascisti, Anna Maria (figlia di Domenico Ricci) scrisse al presidente per chiedere se pensasse che il padre fosse innocente o colpevole. "Sono certamente io, accanto al canonico Pozzo - spiegò Scalfaro alla stampa -. La sera alle nove, nove e mezza uscivo dall'ufficio e il sindaco mi disse: la fucilazione sarà eseguita domattina. Mi sono alzato alle quattro e sono andato in carcere. Li ho abbracciati tutti, uno per uno. Ho fatto la comunione con loro sul camion". Ma alla figlia di Ricci non potè dare spiegazioni: "Scalfaro una mattina presto mi telefona, un sabato o una domenica - ricorda la donna -, due parole: 'Stia tranquilla perché suo padre dal Paradiso pregherà per lei'. Tutto qua...". Semplicemente, Scalfaro non poteva avere la certezza della colpevolezza del suo vicino di casa, ma da "consulente tecnico giuridico" del tribunale d'emergenza, o meglio "tribunale militare di partigiani", non si sottrasse alla decisione.

Aggiornamento - Viene fuori anche la storia di un litigio in un ristorante dove Scalfaro prese a schiaffi una signora. Gloria Satta lo racconta sul Messaggero:


"E’ lo «scandalo del prendisole » e risale al 1950: da allora in poi, le cronache non avrebbero smesso di tramandarlo tra ricostruzioni plausibili e leggenda. Venti luglio, a Roma fa un grancaldo. Nel ristorante Chiarina di via della Vite il trentaduenne sottosegretario Scalfaro pranza con due colleghi di partito. A un certo punto si accorge che ad un altro tavolo una signora, insofferente all’alta temperatura, si è tolta il bolerino rimanendo con le spalle nude. Il politico dc si alza e, al grido «è uno schifo, una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto ai presenti, se è vestita così è una donnapoco onesta!», le intima di rivestirsi. Secondo un’altra versione, il futuro presidente della Repubblica affibbia addirittura uno schiaffo alla bella spudorata. Ma la circostanza è sempre stata smentita dagli interessati che, anche a distanza di decenni, avrebbero rivangato l’episodio con immutato fastidio. Di certo, in quella torrida giornata di oltre sessant’anni fa,c’è l’intervento della polizia chiamata dall’onorevole, una querela per ingiurie firmata dalla donna e un successivo dibattito parlamentare: la signora, che si chiama Edith Mingoni inToussan, è militante delM ovimento Sociale Italiano e chiama in sua difesa il padre, colonnello dell’aviazione, e il marito capitano. Ma lui non accetterà, adducendo l’obiezione di coscienza per motivi religiosi. La polemica esplode e scomoda perfino Totò che al politico indirizza una lettera aperta, accusandolo in pratica di vigliaccheria peressersi sottratto al confronto armato. «Il sentimento cristiano », scrive l’attore firmandosi principe Antonio Focas Flavio Commeno De Curtis, «avrebbe dovuto impedire a Lei e ai suoi amici di fare apprezzamenti sulla persona di una signora rispettabilissima… abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze». La baruffa del prendisole alimenta per mesi la stampa, in particolare le pagine del Marc’Aurelio e del Travaso, i settimanali satirici dell’epoca."

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4 commenti:

  1. Chi sa se anche lui, con tutto l'odio di cui s'è nutrito in vita, sarà in Paradiso e pregherà per la sua CASTA figlia Marianna...

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  2. che essere spregevole e viscido... degno rappresentante della CASTA itaGliana!

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  3. Scalfaro dopo la guerra era in stazione a Bologna assieme a quell'altro maiale di Napolitano a prendere a sassate i Veneti profughi dell'Istria e della Dalmazia, quelli che erano sfuggiti alle foibe.
    Tutto il mio disprezzo!

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  4. "Pare" che scalfaro fosse un gran pezzo di merda.Il diavolo non ci ha pensato due volte a fucilarlo.
    Glen Morris

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